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La prosa di Fante è un paesaggio asciutto ma mai brullo, disseminato di ironica freschezza di agrumi ed elegiache rovine mediterranee. Potrebbe essere il realismo di Verga che sbarca sulle selvagge costeamericane, piegando l'umorismo caustico ed educato di Groucho Marx al brusco e urticante racconto autodiegetico di un ragazzo munifico di talento creativo, che emerge dalla miniera di pene e miserie di una famiglia italoamericana della working class di inizio Novecento. A questa epopea familiare Fante attinge per suppurare il dolore, plasmando la linfa energica della sua biografia ad Avatar della macchina da scrivere, sperando che ogni volta si ripeta il miracolo della fuliggine esistenziale trasformata in inchiostro vitale, eruzione di autocoscienza catartica ed emancipativa.